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Il dialogo è morto, Viva il dialogo!

Chi non è con me è contro di me. Il manicheismo imperante nell’epoca delle libertà costituzionalmente garantite, prima tra tutte quella del pensiero, appare un autentico ossimoro. Se libertà di pensiero c’è perché limitarsi a due posizioni, peraltro antitetiche, che corrono in parallelo come due rette che non si incontreranno mai? E’ l’archetipo dell’eterna dualità dell’universo oppure la legittimazione del preconcetto che non ammette contraddizione? Lontano il tempo delle aporìe, quando il dubbio era elemento costitutivo del ragionamento vivo e critico e le dispute sui fenomeni potevano risolversi in un dignitoso compromesso, oggi appare molto più comodo schierarsi a favore o contro qualcuno o qualcosa. Spesso compulsivamente, ripudiando il dialogo in nome delle categorie. Un approccio integralista alla conoscenza degli eventi – in particolare quelli che stiamo vivendo sulla nostra pelle – che genera inevitabilmente una capacità di giudizio parziale. Come ricordava Gustav Jung, “pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi”. E’ dunque più facile aderire o confutare una narrazione anziché tentare di comprenderla nel profondo, anche in ciò che nasconde o non mette in evidenza. Paradossalmente il fenomeno è oggi parecchio diffuso negli ambienti medico-scientifici, cioè in un ambito nel quale proprio il dubbio dovrebbe essere il motore della conoscenza. Del resto, polarizzare i propri convincimenti rivela molto spesso il timore di veder crollare l’impalcatura delle certezze acquisite attraverso uno status sociale o mediante il condizionamento delle narrazioni dominanti, per loro stessa natura parziali e uniformanti. Qui si aprirebbe un tema molto interessante sul concetto di “propaganda”, termine che solitamente attribuiamo alla comunicazione di regime, ma che in verità è sempre in grande spolvero. L’esercizio del pensiero critico (quindi libero) è, anche in tempi di apparente libertà di opinione, sempre molto complicato. Nei regimi dittatoriali si rischia la vita; nelle comunità cosiddette democratiche, il pubblico ludibrio, la scarsa considerazione, l’emarginazione professionale. In definitiva, l’isolamento sociale. Un sociologo statunitense dell’800, W. Graham Sumner, chiosava: “La facoltà della critica è generata dall’educazione e dall’allenamento. Si tratta di un abito mentale oltre che di una capacità. Essa è condizione prima dello sviluppo umano. È la nostra unica tutela contro l’illusione, l’inganno, la superstizione e la misconoscenza di noi stessi e del mondo a noi circostante”. Un ulteriore problema delle posizioni polarizzate è che riducono la complessità delle questioni in gioco, trasformando problemi complessi in dispute binarie. Le persone tendono a raggrupparsi con individui che condividono le loro stesse opinioni, creando echo chamber che rafforzano le proprie convinzioni e demonizzano chi la pensa diversamente. Tutto ciò ha profonde ripercussioni nel tessuto sociale. In primo luogo, impediscono la collaborazione e il compromesso necessario per risolvere i problemi complessi che le società del XXI secolo si trovano ad affrontare. In secondo luogo, aumentano la tensione e il conflitto tra gruppi e individui, minando la coesione sociale e la solidarietà. Infine, le posizioni polarizzate possono portare a una crescente disillusione della democrazia e delle istituzioni, minando la fiducia nella capacità dei governi di affrontare le sfide del nostro tempo. Appare dunque necessario promuovere una cultura del dialogo, dell’ascolto reciproco e del rispetto delle opinioni diverse se si vuole costruire una società davvero più inclusiva, solidale e democratica.

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